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Il caso di Terri Schiavo: a decidere siano i medici e non i giudici
martedì 22 marzo 2005
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Ho visto nei giorni scorsi il film di Clint Eastwod, Million Dollar baby, premiato con quattro Oscar.Una storia drammatica in cui Eastwod, dopo molti rifiuti, accetta con sofferenza di togliere la vita ad una donna pugile che si era rotta l’osso del collo, rimanendo totalmente paralizzata e mutilata, ma con la mente lucida . Una pellicola amara e poetica, dove i valori del pragmatismo americano sono ribaltati nella ricerca della verità e di una autentica umanità. E’ un film che vi consiglio di andare a vedere, soprattutto in queste giornate in cui si straparla della vicenda di Terri Schiavo, la ragazza americana in coma da quindici anni , a cui è stata staccata( dopo una sentenza del tribunale) la sonda che la nutriva, per la terza volta in quasi quattro anni. E’ giusto o sbagliato considerare l’eutanasia un atto disperato d’amore nei pazienti senza speranza di guarigione? Su questo l’opinione pubblica americana( e non solo) è spaccata tra sostenitori dell’eutanasia, liberal e neocon, agnostici e credenti. Bush ha firmato eccezionalmente una legge contro l’eutanasia, ma i giudici hanno confermato il loro verdetto: niente più acqua e cibo per la povera Terri. Al di là delle questioni etichei, forse dovrebbero essere i medici e non i giudici a decidere se e quando è il caso di porre fine alle terapie. Cosa c’entrano i tribunali ? Semmai sono i medici che possono comprendere, in base al loro codice etico e deontologico, in maniera riservata e scrupolosa, se un paziente in rianimazione è o no sulla porta della morte. Tra l'accanimento terapeutico che prolunga a tutti i costi una vita destinata a spegnersi e l'eutanasia che zittisce una vita bollata come non più vivibile vi è la strada delle cure palliative. Dove "palliative" non è sinomino di inefficace. Cura, invece efficacemente: non la mortalità, che rimane insuperabile, ma la disumanità che troppo spesso fa da corteo alla morte. E' possibile farlo senza accelerare nè ritardare ciò che ormai , nel caso di pazienti in fase avanzata di malattie inguaribili, è inevitabile. Non può essere né Bush, né Kerry, nè la Corte Suprema, né il marito, a decidere quando è giusto porre fine alle sofferenze di un malato. La Terri, tra l’altro, non è tenuta meccanicamente in vita da macchinari. Terri vive, i suoi organi funzionano. Idratare ed alimentare un paziente in coma sono atti infermieristici che possono essere posti in essere anche dai parenti. Ma sottrarre un paziente a questi trattamenti equivale all’eutanasia. Diverso è il caso dei pazienti in coma attaccati a macchinari che ne assicurano la ventilazione forzata o il battito cardiaco. Ma la parola fine spetta, in ogni caso, ai medici. Non ai giudici.
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