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Pippo Baudo e la caponata di Militello

giovedì 3 giugno 2021
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Se si dovesse indicare a uno straniero un simbolo di un siciliano autentico ed eclettico, bisognerebbe parlare solo di Baudo, tanto è ancestrale, intimo, quasi simbiotico, il legame tra Pippo e la sua terra. Ho avuto l’onore e il piacere di conoscere per motivi di lavoro Baudo in numerose occasioni nell’arco di questi ultimi trent’anni. E ogni volta ho avuto la percezione di un calore umano, di una sensibilità sociale e anche di una generosità che raramente capita di intravedere in altri personaggi della nostra televisione. Nelle tante interviste rilasciate sulla sua straordinaria carriera, Baudo ha spesso ricordato la sua infanzia spensierata a Militello, i gio- chi all’aperto con i suoi amici, i parenti, l’oratorio, le aspettative dei suoi genitori, i suoi affetti più cari, i profumi della sua terra, unici al mondo. «Se chiudo gli occhi il profumo della caponata mi riporta indietro nel tempo e mi ricorda mia madre. Ci metteva una mattinata intera per prepararla. La caponata ha degli odori par- ticolari, un misto di melanzane, zucchine, pomodori, peperoni. Ma va fatta con molta attenzione perché bisogna cucinare i vari ingredienti separatamente per poi riunirli e farne un sapore unico. Non è molto digestiva, infatti poi bisognava fare lunghe passeggiate», ha raccontato in una lunga intervista al «Corriere del Mezzogiorno». Ma io, conoscendolo, aggiungerei anche il culto per il vino siciliano che non manca mai sulla sua tavola. Anche quando va a cena fuori. Una sera a Napoli, la città italiana che forse Baudo ha amato di più nella sua vita, con la sua musi- calità popolare, la genialità dei suoi artisti, l’insaziabile voglia di vivere, Pippo ordinò con estrema gentilezza al gestore: «Ci porti una bottiglia di buon vino “californiano”». Il poveretto strabuzzò gli occhi. E Baudo: «Tranquillo, la piccola California è la mia terra, la Sicilia. A casa mia, a Militello, c’era un carrettiere che aveva una botte sul carretto e dalla botte succhiava con la sonda il vino che veniva poi versato nelle bottiglie e si vendeva sfuso. Mi sembra di sentirne ancora gli odori. Il Nero d’Avola non era imbottigliato e si vendeva sfuso, costava poco ed era eccezionale. Oggi è un vino pregiato straordinario». Baudo ama sorprendere le persone. Sa sempre come strappare un applauso, suscitare emozioni, stimolare ricordi meglio di chiunque altro. Cita a memoria pagine di Capuana, di Verga, di Pirandello, «autori di fronte ai quali bisognerebbe inginocchiarsi», dice sempre lui. La sua è una devozione profonda, quasi religiosa, alla storia, alla cultura, alle arti della Sicilia. Non senza una vena polemica. «Ci sono siciliani che fanno fortuna fuori e poi “snobbano” un po’ la nostra terra. Si fanno pigliare dall’aria del continente, che tra l’altro è una commedia che interpretò l’attore catanese Angelo Musco, e rinnegano le loro origini. Invece io ci tengo sempre a dire: sono siciliano. Io con Militello, il mio paese, ho un rapporto di contatto continuo. Quando vado lì nella mia casa, sento il senso dell’appartenenza. Respiro un’aria antica, come tornassi con mio padre, mia madre, i parenti. Io questo cordone non voglio spezzarlo, non lo farò mai». Pippo è proprio così: un uomo semplice, umile, estremamente colto che conosce e ha saputo utilizzare le potenzialità dello strumento televisivo meglio di qualsiasi altro artista nel nostro Paese. Baudo non è stato solo uno dei pochi veri “show man” italiani, capaci di ideare programmi, intervistare perso- naggi di tutte le realtà, intrattenere il pubblico, suonare e cantare. Nessuno meglio di lui conosce il mercato discografico inter- nazionale, i gusti del pubblico, scoprendo centinaia di giovani talenti. Tutti gli devono qualcosa, in fondo. È stato tra i pochi, in tanti anni di televisione, a saper “inventare” sempre qualcosa di nuovo e stimolante per il pubblico. Ha saputo umilmente ricominciare, dopo stagioni di purgatorio, miscelando, in al- cune sue fortunate trasmissioni, la cultura e la storia del nostro Paese con l’intrattenimento e lo spettacolo. Una rarità. In una stagione televisiva caratterizzata dalla desolante e debordante presenza di “talk” capitalizzati dalla politica, da troppi “talent show” e “reality”, Baudo ha avuto il coraggio di bocciare questo “cocktail” pericoloso, difendendo il ruolo del servizio pubblico e di una Rai che deve cercare di “volare alto” con prodotti ori- ginali, raffinati, di grande qualità artistica e spettacolare. Una Rai che informa, intrattiene, educa. «Perché meravigliarsi della disaffezione giovanile allo studio, alla formazione professiona- le, al sacrificio per raggiungere risultati di qualità? I giovano rischiano di modellarsi su una televisione “guardona”, provin- ciale e invadente, sempre più oziosa e senza identità culturale». Questo ha sempre sostenuto Baudo, in pubblico e in privato, con una punta di nostalgia per un servizio pubblico che facesse da traino al meglio della nostra produzione artistica e lette- raria. Il fatto di mettere in onda “quiz” e “reality” è una delle dichiarazioni di impotenza e di sconfitta del mezzo televisivo. La professionalità non conta più niente. Viene premiato l’aspetto fisico del personaggio, la forza seduttiva dell’immagine, l’occa- sione trasgressiva, i pettegolezzi. Baudo, in tutta la sua carriera, avrà fatto anche tanti errori, ma ha sempre difeso la sua scelta coerente di proporre un modello più sobrio e meno volgare di fare spettacolo, meno legato alle logiche della pubblicità e del mercato e più in sintonia con la missione e la funzione di un vero servizio pubblico. Un uomo perbene, coerente con le sue idee. Non ha mai rinnegato di essere stato democristiano, senza aver mai cavalcato o prevaricato i ruoli della politica, o cadere nella retorica della nostalgia della prima Repubblica. È stato sempre vicino alla cultura sociale di un sindacato libero come la Cisl, partecipando come “intrattenitore” (e sempre gratuitamente), a tante iniziative sindacali. Sergio D’Antoni, amico fraterno di Baudo e altri leader politici, più volte gli avevano chiesto di scendere in campo, di candidarsi financo a Presidente della Regione Sicilia. Avrebbe sicuramente vinto. Sarebbe stato un ottimo amministratore della cosa pubblica. Ma Baudo ha sempre rifiutato di usare la sua popolarità per interessi perso- nali, senza mai sottrarsi, però, nel dare il proprio contributo a campagne politiche e sociali nobili, di alto profilo, dispensando consigli e soprattutto distillando fiducia nel futuro, anche agli attuali amministratori. «L’attuale presidente della Regione, Nello Musumeci, è un mio amico ed è mio paesano, abbiamo la casa di campagna l’uno di fronte all’altro. Gli consiglierei di fare una grande campagna promozionale in cui si dice cosa c’è in Sicilia che non esiste da nessuna altra parte del mondo, cosa ha avuto la Sicilia e cos’è la Sicilia». Idee semplici, di un uomo, in fondo, semplice, che si commuove quando parla della sua terra, della sua famiglia, delle tante devastazioni morali e materiali. Ma sempre ottimista per il futuro della Sicilia. «È rimasta una bellezza infinita, unica al mondo, che i nostri progenitori ci hanno lasciato in eredità, sicuri che noi l’avremmo rispettata, questa natura. Cosa che non abbiamo fatto. Amara terra mia, amara e bella. Ma il bello vincerà. Il bello trionferà». La Sicilia - Estratto da Microcosmo Sicilia
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