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Le feste “Patronali” dell’estate siciliana negli scatti di Lello Fargione Il valore della memoria
mercoledì 3 agosto 2016
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Non si è mai saputo se la passione di Lello Fargione per la fotografia sia nata prima o insieme a quella per le grandi feste Patronali siciliane. Ma poco importa. Dalle sue immagini nitide traspare la straordinaria capacità di cogliere il significato autentico della Tradizione popolare, il tentativo ben riuscito di emozionare e tramandare il valore della memoria. In quegli scatti caldi e quasi appassionati rivivono la Sicilia folkloristica ed umile di Giuseppe Pitrè, le tinte schiette e le usanze del mondo contadino di Luigi Capuana e di Giovanni Verga. E' la stessa Sicilia fantastica che Antonino Uccello, non senza fatica ed ostacoli, aveva raccolto nella sua collezione della Casa Museo di Palazzolo Acreide, dove la cultura contadina si mescola con la fede, la fatica dei campi con il fanatismo religioso, in una Sicilia aspra, spesso violenta come la spada sguainata dei Santi, ma anche terra tragica e silenziosa, plasmata nei volti bellissimi delle Madonne nelle processioni del Venerdì Santo. Una sfida di arte, di cultura e di superstizioni, quella colta dalle foto di Fargione nella sua pura essenzialità, raccolta ora in un prezioso catalogo. Nelle feste patronali siciliane c’era ed è rimasta la rivalità sociale, la lotta orgogliosa per emergere, una profonda devozione alla propria terra, un desiderio furioso di vivere. E' il racconto di una Sicilia romantica ed immobile nel tempo, l’isola degli emigranti, che in una maniera o nell’altra un giorno cercheranno di tornare quaggiù, anche semplicemente per morire. Come un grande affresco, Fargione cerca di raccontare a modo suo questo "spettacolo" collettivo che si rinnova anno dopo anno, senza soluzione di continuità in tante citta' siciliane. Le statue dei Santi, portate a spalla nuda, vacillano sotto una valanga di ‘nzareddi’ che piovono dall’alto delle chiese bianche e maestose, mentre la gente si segna al passaggio della processione, come avviene ogni anno il 10 agosto nella festa di San Sebastiano a Palazzolo Acreide. Scossi dall’urlo collettivo, i bambini nudi, dalla pelle bianchissima, avvolti in un rotolo di banconote, vengono sollevati da braccia muscolose e nervose sulla cima di fercoli dorati, fino a sfiorare la statua dei Santi. Per grazia ricevuta, forse, ma anche come buon auspicio per il futuro. Poi l’urlo liberatorio (“U Santu della vita è patrono”) li riporta docilmente tra le braccia dei genitori. Migliaia di persone osservano ammutolite, eccitate, stordite dal caldo e dall’incessante bombardamento dei mortaretti. Tutto si svolge secondo un copione prestabilito, con il gioco multicolore e la letizia di una recita teatrale. Le bande musicali rantolano assetate, il maresciallo dei carabinieri, il sindaco e la giunta in tenuta da gala seguono con la dovuta compostezza il corteo, tra gli stendardi e le bandiere colorate. Le donne a piedi nudi cominciano il loro ‘viaggio scalzo” alle spalle dei fercoli. Il fascino della Sicilia è ancora questo: la genuina fede popolare, la povertà, l’egoismo, la superbia fanatica. La convinzione di essere persino “amico personale dei Santi”, come scriveva Giuseppe Fava. Culto e tradizione sono la testimonianza di antichi riti pagani, mescolati con il culto dei santi cristiani, dove ciascuno recita la propria parte. Forse lì è da ricercare il filo del racconto di Fargione. In quella arte di proteggere, di divulgare ai giovani il senso di quella tradizione, nel solco culturale, tracciato da Lèvi Stauss, De Martino, fino al napoletano Roberto De Simone, che hanno dedicato la loro vita alla ricerca del sacro, ad una religiosità arcaica e popolare, preziosa perché, come scriveva Giuseppe Rovella “fa parte della cultura, inserisce l’uomo in un tempo circolare, in un eterno ritorno che è il contrario del tempo in linea retta imposto dal capitalismo e finalizzato al consumo". La Sicilia 4 agosto 2016!
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