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Sessant'anni fa la strage di Portella di Ginestra. I tanti misteri di una strage
mercoledì 2 maggio 2007
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Soltanto da tre anni, cioè dalla caduta del fascismo, a Piana degli Albanesi, a
pochi chilometri da Palermo, i socialisti e i comunisti di San Cipirello, Piana e
San Giuseppe Jato avevano ripreso a commemorare il Primo maggio, festa dei
lavoro. Per la terza volta consecutiva dalla fine della guerra i contadini e i
braccianti di quelle terre arse e ingrate si erano dati appuntamento, con i
muli e i cavalli addobbati di nastri colorati, in fondo alla vallata, a pochi metri
dalla vecchia strada, dove una grossa roccia calcarea era diventata un podio
per i comizi. La gente, che approfittava di quella giornata di festa per una
scampagnata, lo chiamava il «sasso di Barbato» perché, fin dal 1864, da lì
sopra Nicola Barbato, medico socialista, uno dei fondatori dei Fasci siciliani,
ogni anno parlava alla sua gente.
Quel giorno sul «sasso di Barbato» era salito per il tradizionale comizio
Giacomo Schirò, un calzolaio, segretario della sezione socialista di San Giuseppe Jato.
A prendere la parola sarebbe dovuto essere un prestigioso leader comunista,
Girolamo Li Causi. Ma il giorno prima Li Causi aveva fatto sapere che, impegnato in un’altra manifestazione, non sarebbe intervenuto. Al suo posto era stato chiamato un giovane sindacalista, Francesco Renda. Ma proprio quel Primo maggio a Renda si era rotta la moto nei pressi di Altofonte e così, ad
essere interrotto dagli spari, dal sangue e dalla morte si trovò il povero calzolaio.
Quel giorno a Portella della Ginestra morirono undici persone, due bambini e nove adulti. Altri 27 contadini rimasero feriti.
Ma chi e perché aveva aperto il fuoco su una folla inerme e festante? Che messaggio politico si nascondeva dietro quella feroce carneficina? Chi aveva dato il via al massacro e, soprattutto, chi lo aveva ordinato?
Come ogni atroce fatto italiano, anche la strage di Portella è ancora oggi, a distanza di sessanta anni, in gran parte avvolta nel mistero.
Quando nel pomeriggio di quel Primo maggio del 1947 la notizia si diffuse c’era solo una certezza: quell’eccidio di uomini, donne, bambini, poveri contadini comunisti e socialisti era avvenuto all’indomani della vittoria ottenuta dal Blocco dei popolo, una lista formata da PCI e PSI, alle elezioni amministrative regionali, le prime per l’Assemblea siciliana1. Ma chi aveva sperato,dopo la strage, in una risposta autoritaria da parte dello Stato rimase deluso. In Sicilia era partita la spartizione dei feudi. I contadini volevano la terra dei ricchi, i vecchi agricoltori ed i campieri la volevano pure. I braccianti ritenevano che la miseria desse loro diritto ad un pezzo di campagna, ma non si rendevano conto che la campagna da sola non bastava: ci volevano gli animali per ararla, la casa per abitarci, l’aqua per irrigarla. Ma erano tempi di confusione e di retorica comunista: i braccianti facevano tumultuose ed innocue dimostrazioni,occupavano la terra con bandiere rosse, bambini e donne. Poi, la sera, se ne tornavano contenti al paese. I massari ed i campieri volevano, invece, acquistare a buon prezzo la terra dai vecchi baroni.Avevano argomenti molto convincenti, tagliavano gli alberi, tagliavano i garetti agli animali delle mandrie, appiccavano incendi. Taluni proprietari cominciarono a vendere, altri vennero a patti, altri ,infine, cercarono di resistere, o addirittura presero l’iniziativa di ingrandire la loro proprietà. Tutto era cominciato così, dalla miseria. Anzi, dalla spartizione della miseria. In quel tempo nelle campagne siciliane comandavano i “ras”, cioè coloro che volevano difendere la loro proprietà dalle occupazioni dei contadini ed i loro armenti dalle rapine delle bande criminali.Non uccidevano mai di persona. Facevano uccidere. Fu questo clima sociale e politico che maturò in Sicilia la strage di Portella. Solo nell’autunno del 1947, quattro mesi dopo l’eccidio,si saprà che a sparare dalle alture sulla gente erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, di Montelepre, un piccolo paese sulla strada che da Palermo porta a Trapani. Notizia questa che un alto funzionario dello Stato italiano, il capo dell’Ispettorato di pubblica sicurezza in Sicilia, Ettore Messana, aveva saputo, invece, poche ore dopo la strage. E lo stesso Messana, ben presto, forse venne anche a sapere chi erano i mandanti di quel massacro, chi aveva armato la mano del bandito. Ma né lui, né altri funzionari statali (poliziotti, carabinieri, agenti dei servizi segreti), né tantomeno uomini politici di livello nazionale, con impegni nel governo del
paese, lo diranno mai. Anzi da quel giorno tutti si adopereranno, come un solo uomo, pur tra dissidi e rivalità, per imbastire trame sempre più complesse che porteranno altro sangue e altri lutti. Con un unico obiettivo:
coprire la verità sulla strage di Portella della Ginestra.

Conquiste del lavoro- 1 maggio 2007

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